Gli strumenti e le tecniche della civiltà rurale della pianura vicentina.

Era un personaggio singolare Momi Zocca di Povolaro. Senza clamore e con discrezione tipiche delle genti venete, con l’aiuto della moglie e dei figli, ha creato sotto i portici della sua bella casa padronale un importante museo della civiltà rurale della pianura vicentina.Con ostinazione ha trovato migliaia di strumenti, testimonianze della vita del contadino, legato alla terra e ai cicli delle stagioni. Strumenti creati dai nostri padri, nonni e bisnonni che con intelligenza e creatività hanno inventato strumenti unici e funzionali per tutti i lavori, dalla raccolta del fieno alla lavorazione del latte.

A casa Zocca si possono così osservare tutta una serie di pezzi unici e particolari. Visitare questo portico sembra di ritornare indietro nel tempo e nella memoria.

LA LAVORAZIONE DEL PANE

1  Circa 60 anni fa, a Dueville, c’erano 55 forni situati presso le varie famiglie del paese. Le botteghe del pan erano invece sei. Ma i sei fornari si lamentavano perché parecchie persone si arrangiavano a prepararsi il pane. Per la buona riuscita del pane il forno doveva essere usato in continuazione, così le famiglie si accordavano sui due o tre giorni in cui avrebbero acceso il forno, per cuocere a turno il pane per la settimana..
Non tutti coloro che cucinavano il pane in casa, lo sapevano fare bene. C’erano alcune famiglie che lo preparavano veramente come i fornai. La maggior parte cucinavano sì il pane, ma era a volte troppo duro o a volte, poco cotto.

2  Dopo aver passata la pasta con la gramola, si facevano i pastoni, grossi bigoli che, a loro volta, con abile e precisa  mossa dei lavoranti, venivano spezzettati in tanti tochi. I fornai più bravi riuscivano a preparare i tochi quasi tutti dello stesso peso. I tochi erano poi pronti per essere fati sù. Veniva cioè data loro la forma.
Le forme più usate erano, oltre alle ciope:
i montasù; ( pasta arrotolata )
le piave e le piavete; ( 2 giri di pasta che veniva tagliata poi in due )
le rosete; le pinse; le risete.

3  La pasta di pane, già fatta sù, per farla lievitare, veniva posta su delle tavole. Le tavole venivano posate sulla cajciara, una rastrelliera  che poteva sostenere le tavole. Nel caso specifico di Dueville, la pasta del pane veniva fatta lievitare nella stua, un locale posto al primo piano, sopra il forno. Era un locale sempre caldo, riscaldato dal forno sottostante. C’erano delle cajciare anche nel locale del forno.

4    Un altro attrezzo usato era il cavalletto. Il cavalletto era usato per sostenere la tavola con sopra il pane lievitato e pronto per essere infornato.  Si posava un’estremità della tavola  sul forno e l’altra estremità sul cavalletto

GIOCO

Gioco delle bocce

corte delle bale = campo dove si giocava. Il fondo era di sabbia. Con il rabio si tirava il campo.

Con il crivelo si passava la sabbia.

Toloni = tavole che limitavano il campo da gioco.
Buratina = angolo del campo da gioco.
L’oco = la boccia che si mettava davanti al pallino nel gioco del cavabalin.
Ala vecia = quando la boccia tocca lo steccato, la boccia è ancora in gioco.
Ala bassanese = si misurava la distanza con la spana, uno strumento simile ad un compasso.
Bala obligata = si tirava al volo, senza il balin.Tiro alla bocia = Per i più esperti. Si metteva una stanga in mezzo al campo e si doveva bocciare, colpire al volo, senza far correre la boccia. Non si doveva far cadere la stanga, appoggiata su due sostegni. Una variante era di mettere uno spago con una campanella. Se si toccava lo spago e la campanella suonava, il tiro non era valido.

Giochi dei ragazzi 

querceti = si prendevano le capsule dei tappi corona con cui si  chiudevano le bottiglie di birra o di aranciata. Si andava nelle osterie perchè in casa non c’erano le bottiglie con il tappo corona. Con un martello si appiattivano le punte ed il tappo diventava un dischetto piatto. Si giocava come se fossero monete. La parte su cui era impresso la marca della bibita, era testa.

Bussolotti = si mettevano dei bussolotti,  uno per ogni giocatore. I ragazzi con dei sassi o con delle scaje di laterizio dovevano colpirli da una distanza di 5 o 6 metri. Era una variante del gioco del MORTO.

s-ciochi de carburo 

GIOCO II

Località di rilevamento: Dueville

    aqua e fògo = si aggiungeva anche fògheto, per indicare l’oggetto abbastanza vicino.
•    Arco = si costruiva prevalentemente con i rami della sanguanéla.
•    Bala a muro =  si giocava cantanto:     Muovermi, senza muovermi,  senza ridere, con un piede,  con una mano, dà battere,  zigo zago,  violino,  bacino, tocco terra,     angiolo…
    Briscolo = con la corda della lissia o con la corda con cui si appendeva il maiale, quando si uccideva, si poteva fare un briscolo. Si appendeva la corda a qualche trave del portico. La corda si poteva rovinare, allora era un gioco non sempre disponibile, anche se richiesto dai bambini.
•    Bussolòti = si metteva un barattolo al centro di un cerchio, segnato per terra, di 1 metro di diametro, circa. Un ragazzo doveva restare a guardia del barattolo, doveva stare soto. Gli altri ragazzi , ad una distanza prestabilita, di circa due o tre metri, cercavano di abbattare e far rotolare il barattolo, il più lontano possibile. Per abbatterlo si usavano mezzi mattoni o delle scaje, pezzi di laterizi (pignate, blocchi, ecc.), o qualche sasso che permettesse una traiettoria precisa. Se non si colpiva il barattolo, bisognava lasciare il proprio mattone o sasso, nel posto in cui si fermava e no si poteva più tirare. Quando invece il barattolo veniva abbattuto, chi era soto, doveva raccoglierlo e rimetterlo nella posizione iniziale. Nel frattempo il giocatore che aveva tirato e gli altri che non avevano più i loro strumenti per colpire, potevano velocemente raccoglierli e ritornare al loro posto. Se intanto chi era soto rincorreva chi scappava e lo toccava, chi veniva preso, andava soto.
•    Dindolo o briscolo = – due bambini, una tavola, un tronco che fungeva da fulcro.
–  in mancanza di una tavola, il carretto diventava un dindolo. Un ragazzo seduto davanti, vicino alle stanghe e uno dietro. Le ruote erano il fulcro.
•    Marinaio = gioco di bambine. Si formava un quadrato con quattro bambine. C’era un perorso da fare lungo le diagonali e i lati, alternando le compagne che si prendevano sottobraccio. Si cantava: Oh marinaio, marinaio della marina, porti le chiavi dell’oro e dell’argento ……
La filastrocca continuava, ma la signora non si ricordava più le parole.
Vita religiosa

Anpoline = ampolline che servivano per l’acqua ed il vino per la celebrazione della massa.

•    aqua benedeta = acqua benedetta che si teneva in casa e si adoperava per farsi il segno della croce.
•    Aspirante = i bambini quando partecipavano all’Azione Cattolica.
•    Benedir le case = il parroco girva per il paese a benedire tutte le case.
•    Benedir le cro$e = il prete faceva il giro del paese e si fermava in alcuni punti stabilioti. In questi c’erano i contadini che portavano deille croci, fatte con i rami di salice e adddobbate con fiori. Le croci, dopo la benedizione, si mettevano nei campi, a protezione dei raccolti.
•    Beniamina = ragazze quando partecipavano all’Azione Cattolica.
•    Borse per tor sù i schei = durante l’offertorio si passava per raccogliere le offerte dei fedeli. Di solito si dava l’offerte per le careghe. C’erano altre borse con le quali si raccoglievano le offerte per i capelani e per le anime.
•    capèlan = prete cappellano.
•    Coroncina del sacro Cuore = si recitavano 5 preghiere, alternate con un  Pater e 5 Gloria.
•    Cresema = cresima
•    Dir la corona = recitare il rosario.
•    Far dir messa = ordinare una messa per il suffragio delle anime dei propri defunti.
•    Farse el segno della croce = alla mattina e alla sera, prima di dormire era diffuso farsi il segno della croce. Le donne recitavano anche le preghiere del mattino e della sera.
 in chiesa.
•    messa prima = la prima messa
•    messa ultima = l’ultima messa della domenica
•    Novena = nove giorni prima di alcune festi solenni: Immacolata, Natale, la Pentecoste.
•    Oficiatura = preghiere per i defunti che si commissionavano al prete, con delle oferte in denaro.
•    Ojo santo = l’olio per l’estrema unzione.
•    Onbrèla = si usava per accompagnare il prete, quando portava il Santissimo,  negli spostamenti
•    Ora de adora$ion = in alcune occasioni liturgiche, c’era l’ora di adorazione del Santissimo.
•    Ottavario = settimana di preghiere. Si proponevano delle funzioni religiose con prediche, di solito tenute da frati passionari, non della stessa parrocchia.. E’ l’attuale missione.
•    Primo venerdì del mese = il primo venerdì del mese era consacrato al Sacro Cuore di Gesù. Era consigliato andare a messa. Spesso andavano anche i ragazzi, prima di andare a scuola.
•    Risponder messa = quando il chierichetto assisteva il prete nelle celebrazione della messa.
•    Sacrestan = sacrestano
•    Terséto = dire il rosario. Il rosario si diceva nel mese di maggio, presso qualche capitello delle contrade oppure in casa del defunto, nei due giorni, precedenti la sepoltura. Quando il morto era in casa, si organizzavano anche le veglie per tutta la notte.
•    Tor le $eneri = prendere le ceneri.
•    Triduo = tre giorni di preghiera per la preparazione della festa del Corpus Domini.

La stufa
Stùa, fornèla, cusina economica

Sostituisce il focolare  per cucinare e per riscaldare.

E’ di solito in ferro o ghisa, con l’esterno smaltato.
Sopra, la piastra è divisa in due  parti. C’è un’apertura chiusa con i serci. A volte ci sono due aperture, una più grande ed una più stretta.
La stùa ha il forno e la fornela. Nel  forno si può cucinare.  Sotto il forno c’è la fornela. Nella fornela  si mettevano:  il sale, i fuminanti ed altre cose che dovevano restare in un luogo asciutto. Sotto il buso del fogo, chiusa dalla portesela, c’è il cassetin della senare.
Per accendere la stufa si adoperavano le bachetele delle fascine. Poi quando il fuoco era avviato, si chiudeva il respiro e si mettavano i pezzi di legna più grossi: i passeti e le stèle. Il fero dela fornela, era invece un ferro sagomato adoperato per rimuovere le braci e ceneri e per agganciare i serci della stua.
D’inverno, nella stufa si preparavano le bronse per la fogara, con le stèle de cassia o de moraro.
Accendere la stufa era la prima operazione della donna quando si alzava.
Sopra la piastra della stufa si poteva cucinare, far bollire, tenere al caldo le pentole. Nel forno si metteva il pane vecchio e lo si faceva diventare pan biscoto.
Quasi tutte le stufe avevano la cassa dell’acqua calda. Il giro dei fumi infatti, riscaldava la cassa dell’acqua. Di conseguenza c’era sempre l’acqua calda quando la stufa era accesa.
La piastra della stufa si fregava con la carta frega. La piastra diventava lucida e pulita. Ogni tanto si doveva togliere la senare e pulire il canon dela stua. Bisognava però stare attenti che la calisine non sporcasse la cusina.

Il labio  e la cana

Dove c’erano le cane con l’acqua corrente, c’era il labio . Era una vasca fatta di cemento, dove si raccoglieva l’acqua che usciva dalla cana. In alcuni labi c’era all’interno un’altra vasca più piccola, con un’apertura all’esterno. Serviva per la conservazione dei cibi: il burro, dentro una scodella di acqua, il brodo, la carne, il latte, ecc.
L’acqua esce alla temperatura costante di 12, 13 gradi costanti. E’ fresca d’estate e tiepida in inverno.
Una volta, l’acqua si  portava in casa nei seci di rame. L’acqua si prendeva dai fossi che partivano da qualche boja, posta vicino alla casa.
Circa 80 anni fa, si piantarono le prime cane. Erano tubi di ferro  che venivano ficcati nella terra alla profondità di circa 7 – 10 metri, con delle mazze e successivamente con una macchina.
L’acqua, in pressione dalla falda freatica, risorge  senza bisogno di aspirarla.
Il labio  costituiva uno dei luoghi, come la cucina e le stalla,  intorno al quale ruotava parte della vita della casa. Era la fonte per dissetarsi, era il lavandino per lavarsi il viso e le mani, era il lavandaio dentro cui lavare, sciacquare, pulire… Era il frigorifero per conservare i cibi o tenere in fresco il vino o d’estate, qualche anguria. Era spesso il  fresco salotto intorno al quale si sedevano le persone per conversare all’ombra di qualche pianta che faceva ombra.
Sopra al labio  c’era di solito una pergola di vite o un rosaio. Vicino c’erano dei paletti su cui si appendevano rovesciati, i bandoni e le sece del latte. Poco lontano dal labio  c’era il filo su cui si stendeva la biancheria appena lavata.  Il labio  era il centro della vita della corte.
Una casa, una corte senza l’acqua, senza il labio , era una casa o una corte  a cui mancava qualcosa. Il suono dell’acqua che cadeva dalla cana, era un suono che riempiva di vita tutta la corte e la casa.
Lavare, fare la liscia.

Non c’erano tanti vestiti, e non si cambiavano spesso. Il cambio dei vestiti veniva fatto di solito una volta alla settimana. Per lavare si andava o nei labi, dove c’era il lavandaio oppure nei fossi. Si usava il lavélo, un lavatoio portatile di legno, fatto a inginocchiatoio. Ogni famiglia aveva il suo lavélo. Le donne mettevano in moja le robe da lavare in un mestelo di legno. Poi insaponavano la biancheria e la strofinavano con le mani o con il bruscheto, una ruvida spazzola fatta con la saggina. Ogni tanto battevano i panni sul lavélo. Su questo strumento fondamentale per la pulizia degli indumenti, la donna compiva una delle più dure e ingrate fatiche, anche se non c’erano tanti vestiti.

La liscia si faceva circa una volta la mese e richiedeva un paio di giorni di lavoro. Con la liscia si lavavano i nissoi, le forète, le canevasse e i tovajòi, cioè le lenzuola, le federe e i teli che si usavano per asciugarsi e tovaglie e tovaglioli. La biancheria veniva prima lavata e poi messa nel cavaleto da liscia per far sgosare i panni. La biancheria veniva messa nel mastelo. Sopra la biancheria veniva steso il bugarolo, una tela dal tessuto molto consistente e fitto. Il bugarolo serviva per filtrare e trattenere la cenere che si versava bollente con la broa. Per fare la broa si faceva bollire nella caliera una gran quantità di acqua e si versava dentro la cenere che le donne nei giorni precedenti, avevano raccolto e messo da parte. Quando l’acqua bolliva si versava nel mestelo. Si lasciava in bagno per un giorno e la mattina dopo, sul bugarolo, rimaneva lo strato di cenere mentre nel fondo. La broa igenizzava e rendeva bianchi i nisoi.
La biancheria veniva poi stesa su una speciale, la soga da lissia, una corda usata solo per stendere i nisoi. La soga veniva puntellata nei tratti più lunghi dal forcà, un palo con una biforcazione in alto, sulla quale si faceva appoggiare la soga.. Dopo l’uso la soga da liscia veniva posta dentro un sacchetto bianco e conservata con cura.

Stirare.
Fero da stirare
C’era in ogni casa. Era in ghisa ruvida mentre la superficie inferiore stirante, era liscia. Era alto con molti fori per lasciar respirare le bronze. C’era in alcuni una piccola griglia che lasciava cadere sotto di sé la cenere. C’era anche un altro tipo di ferro a piastra. Era di ghisa massiccia. Veniva riscaldato sulla piastra della cucina economica.

Attrezzi da lavoro della donna.
Mulinela, Filatoio casalingo per la lana Attrezzo complicato, formato da una grossa ruota azionata a pedale che fa torcere e insieme avvolgere attorno ad un fuso, la lana.
Aspo L’aspo era una specie di mulinela a quattro braccia disposte a croce, fatta girare da una manovella laterale. Serviva per arrotolare i gemi,  le matasse di lana, canapa, seta o altri filati.
Corlo Arcolaio simile all’aspo, serviva invece per disfare le matasse di lana, canapa, seta o altri filati.

Vestiti e scarpe
Fanela, Cami$a, braghe, giacheta, tirache, gilé, tabaro,capèlo, spolvarina, cotola, traversa, siale, siarpon, scalsaroti, sgalmare, socoi, sopei, savate, noni, fasse, pane$ei, traversato, bavarolo,

bucole e ori Quasi tutte le donne portavano le bucole, orecchini di oro che passavano in eredita da madre a figlia.

Sgalmare Le spalmare erano calzature dalla tomaia in cuoio e dalla suola grossa in legno. Il legno teneva asciutti e caldi i piedi. Le suole erano spesso rinforzate sulla punta e sul tacco da broche o da un ferro. Camminando si faceva rumore. Per questo si diceva a qualcuno: sgalmaron.
Socole Ciabatte con la tomaia di cuoio e la suola di legno. Era la calzatura abituale delle donne.
Socoli. Si distinguevano dalle socole perché non coprivano tutta la parte anteriore del piede, ma la cingevano solo con una fascia.
Sopei Avevano la stessa forma delle socole, ma erano tutti in cuoio ed erano considerate da festa.
Savate Erano ciabatte di stoffa e si usavano in casa.

Lavarse 
Ci si lavava pochissimo. Se non in casi eccezionali, matrimonio, visita dal dottore, non si lavavano mai completamente tutto il corpo. Si usavano: il mestelo, la mesteleta, più piccola del mestelo, il basin. Spesso il saon, sapone, veniva fatto in casa, facendo bollire il grasso del maiale.
Nella camera c’era il lavandin, un mobiletto molto semplice con un bassin, con una broca, con uno specio.