La pesca nella zona delle risorgive

Premessa: gli uomini, l’acqua e la terra. 

La pesca nella zona delle risorgive.

Durante la stagione fredda, Momi Righi, alla mattina presto, dopo la mungitura delle sue due mucche, usciva dalla sua stalla. La luce radente del sole faceva risaltare i vapori sospesi sopra i fossi. Si levava gli zoccoli ed entrava nell’acqua. L’acqua era tiepida e non sentiva il freddo. L’acqua dei fossi e della cana era infatti sempre di 12° – 13° gradi, sia in inverno che in estate.
Dentro il fosso, levava la nassa che con molta cura, aveva messo la sera precedente. Andava di mattina presto perché alcuni giorni prima, qualcuno gli aveva portato via tutto. Tolto il cocon fatto di erba, versava il contenuto della nassa, sulla riva. Poco più avanti aveva messo dentro l’acqua il vivaro, con tutti i pesci che aveva trovato durante la settimana.
Quella mattina aveva trovato dei marsoni, delle pessate e un paio di lanprede. Li raccolse e mise anche questi dentro il vivaro. Prese la nassa e il vivaro e se ne tornò a casa per portare da sua moglie Angela, i pesci pescati durante la settimana. Angela aspettava sempre con particolare gioia il venerdì.

Anche questo venerdì avrebbe potuto riempire i piatti della sua famiglia non solo con la solita polenta, ma anche, con una bella porzione di marsoni e di pessate.Quando la pesca della settimana non andava tanto bene ed il pesce non era sufficiente per un pasto completo per tutti, Angela preparava una fortaja,
una frittata con le uova in aggiunta alle pessate e ai marsoni più piccoli. Momi Righi non metteva solo giù le nasse. Sapeva tanti altri modi per pescare.
Dipendeva dalla stagione e dove andava a pescare.
Alla sera, in stalla, con le strope,[3] i rami dei salici, costruiva le
nasse e il vivaro.

Nella zona delle risorgive l’acqua non mancava di certo. Anzi troppa acqua gli creava tanti problemi. Durante l’inverno infatti doveva scavare i gatoliper bonificare la sua terra. Anche suo padre e suo nonno avevano passato gli inverni a scavare i gatoli e i fossi. Gli avevano insegnato dove si trovavano tutte leboje che erano state interrate e dove erano stati scavati i gatoli che
drenavano la loro acqua. Questo era importante perché vi poteva far scolare i nuovi gatoli, senza dover andare a confluire ogni volta sul fosso, posto magari abbastanza lontano. Era un risparmio notevole di faticoso lavoro.

Come Momi, tutti i contadini della zona pescavano. Ognuno pescava nei fossi che delimitavano le loro proprietà. Ora lo facevano senza alcun timore e alla luce del sole. L’acqua dei fossi e delle rogge, era come la loro terra. Era costato tanto lavoro scavare i fossi, bonificare le terre. E i pesci che
potevano pescare erano come i frutti che raccoglievano dalla terra. Per questo fino a pochi anni fa i contadini andavano a pescare, anche se era considerata una pesca di frodo. Essi non riuscivano a capire tutti quei vincoli e divieti.

I contadini hanno sempre mal sopportato vincoli, sulle proprie terre e sulle acque. Anche un tempo era così. Suo nonno gli raccontava che una volta loro non potevano pescare né andare a caccia. Questi erano dei diritti dei nobili Monza.
I Monza avevano quasi il 90% dei campi e delle case di Dueville. C’erano anche delle guardie campestri che vigilavano perché nessuno andasse a pesca o a caccia. Per fortuna i Monza non abitando a Dueville, ma a Vicenza, venivano poche volte nel paese. E poi a loro non mancava di certo la carne. Loro
preferivano avere come pagamento dei livelli qualche pollo o ancora meglio, qualche cappone. I marsoni, le pessate, le spinose, le lanprede, i ganberi, le bisatte,non erano considerati dai nobili un piatto prelibato.

La zona delle risorgive

Un ambiente particolare del vicentino: la zona delle risorgive
Caratteristico ambiente della pianura vicentina posto nei comuni di Dueville, Villaverla e Caldogno. Questa zona è denominata Bosco. Le acque freatiche, incontrando i primi banchi di argille nella zona a nord di Vicenza, sono forzate a venire in superficie. Il notevole bacino acquifero della zona è alimentato parte dall’Astico e parte dal Brenta.
I canali di risorgiva, i fossi e le rode, originatisi dalle numerose
boje,[4] si intrecciano con andamento irregolare, segno della loro origine naturale e testimonianza del lavoro di bonifica fatto dai contadini nei secoli.
Il più importante corso d’acqua che prende origine nel Bosco è il
Bacchiglione. Accanto il Bacchiglione, numerose rogge e fossi rendono caratteristica e particolare questa zona di pianura. In questo territorio è presente un sistema idrografico artificiale, costituito da numerose rogge di derivazione dei fiumi principali.
Il nome delle rogge Monza, Verlata, Porto, identificano le famiglie nobili che hanno fatto scavare questi canali. L’uso di queste acque era di loro esclusiva pertinenza, sia per irrigare che per muovere le ruote di molini, segherie, cartiera e altri opifici. La roggia Molina è invece una roggia naturale. Le sue acque facevano muovere quattro molini e una cartiera.
L’Astichello era invece una roggia ricavata dall’Astico. Serviva anche per il trasporto del legname a Vicenza. Era pure chiamata la “ roza dele legne”. La boja è il termine dialettale che indica l’area in cui l’acqua emerge. Il fondo della boja è sabbioso e l’acqua emergendo, fa bollire la sabbia, con movimenti incessanti e bolle d’aria che vengono in superficie. L’acqua nelle
boje è limpidissima.
I gatoli invece sono i piccoli fossi che prendono origine dalle boje. Il termine gatolo però viene anche esteso a tutta quella fitta ragnatela di rigagnoli d’acqua incanalati dagli uomini e sotterrati. Quando nel prato si manifestava una permanenza costante di acqua, bisognava scavare, risalire alla boja che alimentava la sorgente e incanalare l’acqua sorgiva e portarla a scolare nel fosso. Per fare queste canalette sotterranee si usavano i sassi che si andava a raccogliere nell’Astico. Messi uno vicino all’altro, venivano coperti con altri sassi più larghi in modo da formare una piccola conduttura dove l’acqua potesse
scorrere. Spesso le radici degli alberi o il cedimento di qualche sasso, riempivano la conduttura. Bisognava allora rifare tutto il lavoro cercando di ripristinare lo scolo. Dagli anni Cinquanta, si cominciò ad adoperare gli scarti dei laterizi delle fornaci di Villaverla. Sopra i sassi si mettevano pezzi di tegole o pezzi di coppo.

Quasi tutte le rode hanno un nome. Il motivo di questo si può far risalire al tempo della Serenissima. Per poter utilizzare l’acqua, sia per irrigare, sia per far muovere le ruote dei mulini, delle segherie, dei magli o della cartiera, era necessario chiedere l’investitura ai Beni Inculti. Per istruire la pratica
dell’investitura, occorreva allegare le mappe del territorio segnando i nomi dei corsi d’acqua che si voleva utilizzare.
Erano soprattutto i nobili a chiedere l’investitura perché erano loro i proprietari di gran parte delle terre e dei mulini. Diventavano così concessionari dell’unica fonte di energia, oltre la forza degli uomini e degli animali.

La pesca

Alla fine del secolo scorso, scriveva il Torossi, [5]“ nessuno vive
esclusivamente della rendita di pesca”. I pesci pescati costituivano un cibo che andava ad integrare la modesta dieta dei contadini. La pesca non ha mai avuto grande importanza economica nella provincia di Vicenza. La pesca era libera e
non soggetta a vincoli di alcuna specie. C’erano sì dei pescatori, soprattutto nel lago di Fimon, lungo i corsi del Brenta e dell’Astico, che vivevano con la rendita della vendita dei pesci da loro pescati. Nel 1911 erano circa una cinquantina in tutto il Vicentino. Pescare pesci, rane e gamberi era un’attività svolta da gran parte delle famiglie che abitavano nelle zone ricche d’acqua della provincia. Tutti lo potevano fare. In ogni zona c’erano delle modalità diverse dalle altre. A seconda della caratteristica dell’ambiente e delle tradizioni locali, si era sviluppata una cultura della pesca caratteristica e distinta.

La provincia di Vicenza si può suddividere in aree diverse:[6]
1. la zona delle risorgive;
2. la fascia montana – pedemontana;
3. la fascia dell’alta pianura;
4. la fascia della bassa pianura.
Da aggiungere l’unico lago, il lago di Fimon, con una superficie di mezzo km quadrato, profondo circa 4 – 5 metri.

La fascia delle risorgive è l’area più ricca d’acqua. In questa zona si formano il Bacchiglione e il Tesina.
Caratteristici di questa zona sono il Barbo, la Trota, la Sanguinerola, (salgarela, pessata) il Ghiozzo e lo Scazzone ( marson).
La fascia montana – pedemontana include i corsi d’acqua come il Brenta, l’Astico, il Leogra, l’Agno, il Chiampo. Oltre a questi corsi principali, in questa fascia ci sono il Laverda, il Timonchio, la Poscola ed altri torrenti di portata più modesta.
Questi corsi d’acqua sono caratterizzati dalla presenza della trota, dello Scazzone, della Sanguinerola, e dal Barbo canino.
La fascia dell’alta pianura comprende i corsi d’acqua, fino al limite delle risorgive.
La fascia della bassa pianura è posta invece a sud di Vicenza.
I tratti dei principali corsi d’acqua presenti sono:
Bacchiglione, da Vicenza in giù; il Retrone e il Tesina nei loro corsi a sud di Vicenza.

La pesca nella zona delle risorgive

LA PESCA nei fossi

I fossi sono i numerosi corsi d’acqua perenne che prendono origine nella zona delle risorgive. Dalle boje partono dei piccoli fossi che, man mano diventano più larghi e di solito, vanno a confluire in una roggia, una roda, che è un fosso più largo. Per classificare in qualche modo i corsi d’acqua, si possono
chiamare fossi quei corsi che sono larghi fino ad un metro e mezzo circa e profondi non più di 50 cm. Quando sono larghi oltre i due metri, vengono chiamati rode.

La pesca nei fossi si svolgeva in diversi modi. Ogni zona aveva delle caratteristiche particolari Si pescavano: marsoni, pessate o salgarele, qualche piccola trota, qualche piccola anguilla, lamprede, spinose, gamberetti, rane. Le tecniche erano diverse.
Si utilizzava quello che c’era. Innanzitutto le mani. Poi gli strumenti usati nei lavori dei campi o utilizzati in casa, come il rastrello, la pala, il badile, la forchetta, la moscarola. Altri strumenti erano poi costruiti proprio per pescare. Ogni pezzo era quindi originale. C’erano per esempio, diversi tipi di negossa. Ogni negossa era diversa da un’altra, dipendeva da chi l’aveva
costruita.

Vari sistemi di pesca

Tanare o pesca al palpo;

si camminava nel letto del fosso. Con le mani si perlustrava fra le radici degli alberi, lungo le rive. Si sollevavano con cautela le foglie per scoprire eventuali marsoni nascosti. Si sradicavano le piante acquatiche e fra il gambo, spesso si potevano trovare i marsoni, spinose e pessate. Anche nelle rode, quello non molto profonde, si utilizzava questo sistema di pesca.
Alzare le tavele o i sassi.

Si mettevano nei fossi dei pezzi di forati o delle tavele e pignate, laterizi di recupero. Si chiudevano i buchi alle estremità e si mettevano sulla riva guardando se in uno dei buchi si era riparato qualche marson. Dopo averle levate, si rimettevano nel fosso. Si sollevavano anche i sassi un po’ grossi che si potevano trovare nel fondo, se c’era sotto il marson, lo si prendeva o con la forchetta e si cercava di
prenderlo con le mani. Non sempre questo riusciva. In questo modo si pescavano solo i marsoni e i gamberi.

Pesca con la negossa 

Si passava sul fondo del fosso con la negossa. Dentro finivano sassi, erbe, tutto quello che c’era finiva dentro. Ogni due o tre metri, si svuotava sulla riva. Si guardava e se c’erano dei pesci, si mettevano nella suca, appesa alla vita. In questo modo si avevano le mani libere.

Pesca con el piron

Per catturare i marsoni nei fossi, quando si alzavano o i sassi o le foglie, si cercava di infilzare il marson con una forchetta. A volte si usava una fiocina, con un manico più lungo.

Pesca con la nassa 

Durante l’inverno e la primavera, alla sera si mettevano giù le nasse. Questo avveniva di solito, da novembre a marzo. Si mettevano nel fosso e ai lati si facevano delle roste con il fango. In questo modo si chiudeva il passaggio ai lati della nassa ed i pesci erano costretti ad entrarvi. Alla mattina si levavano. I pesci di solito si mettevano nel vivaro. Quando erano sufficienti per un pasto, si cucinavano. Si mettevano più nasse lungo i fossi.

Pesca con il fanale

Di notte si pescava facendosi luce con il fanale a carburo. Negli ultimi anni si andava con la pila. Durante la notte i pesci escono dai loro nascondigli e quindi è più facile vederli e catturarli.

Pesca con la corrente

E’ il sistema di pesca di frodo più pericoloso. Bisognava avere parecchio filo di corrente di 80 – 100 metri, che di solito era avvolto in un rocchetto di legno. Si attaccava il cavo abusivamente sui fili di linea dell’energia elettrica che avevano 125 w di voltaggio, aiutandosi con una lunga pertica, bambù o qualche àtola. Si svolgeva il filo e si metteva il rocchetto vicino al fosso. La negossa doveva avere necessariamente il profilo di sostegno della rete in ferro per trasmettere la corrente. A questo profilo di ferro era attaccato un altro pezzo di filo, più corto, circa 10-15 metri. Questo permetteva una certa facilità di manovra con la negossa, senza avere un filo lungo da trascinare e senza essere tanto ostacolati dai numerosi alberi e rami che costeggiavano i fossi. Si entrava nel fosso, si pescava e, a seconda della lunghezza del filo, circa ogni 10- 15 metri,  bisognava staccare il filo della negossa e portare avanti il rocchetto, ricollegare il filo della negossa e continuare a pescare. Dato il voltaggio relativamente basso, i pesci venivano tramortiti e venivano a galla. Si raccoglievano dentro la negossa e ogni tanto si svuotava. I pesci venivano messi nella suca o in qualche recipiente. Si andava contro corrente, per non intorbidire l’acqua per vedere meglio i pesci da raccogliere. Il pescatore poteva rimanere o fuori dall’acqua o entrare dentro il fosso, ma con un paio di stivali. Si cercava di tenere il più lontano possibile la negossa per evitare la scossa. Spesso però si toccava l’acqua e si sentiva la scossa nel raggio di circa un metro. Era una pesca pericolosa.

Pesca con il rastelo 

Durante l’autunno o l’inverno, per pulire i
fossi dalle foglie o dall’erba, si tirava su tutto quello che c’era nel fosso. Spesso fra le foglie secche e l’erba si potevano trovare dei marsoni.

Sugare i fossi

In estate, un altro sistema di pesca abbastanza usuale era il prosciugamento dei fossi. Naturalmente questo lo si poteva fare solo nei fossi di piccole dimensioni, non molto larghi e poco profondi. Era infatti assai problematico cercare di arginare l’acqua. Gli attrezzi erano delle tavole, dei secchi, la pala che si usava per il frumento o il granoturco. Si metteva una tavola abbastanza robusta e consistente a monte del fosso e costituiva la fermata principale. Successivamente si facevano delle roste con la terra a distanza di 4 o 5 metri una dall’altra. Si buttava fuori l’acqua compresa nel primo tratto, con i secchi o la pala. Prosciugato dell’acqua, sul fondo del fosso, rimanevano i marsoni e altri pesci. I pesci si mettevano nella suca o in qualche barattolo, senza acqua, perché non facessero le bave, quando morivano. Poi si passava ad asciugare la rosta successiva. Essendo una zona di risorgive, ci sono spesso altri piccoli fossi che si immettono nel fosso principale. Bisognava quindi fare di tanto in tanto, altre barriere con tavole. Si doveva inoltre fare presto perché l’acqua premeva e spesso rompeva le “dighe”, mandando a monte il lavoro fatto.

Pesca con qualche gatto morto

I marsoni, essendo carnivori, attaccavano la carcassa dell’animale. Era così molto facile prenderli.

Pesca con le fassine

Le fassine sono un fascio di piccoli e sottili rami. Quando si tagliavano gli alberi, non si buttava via niente. I rami più sottili venivano raggruppati e legati formando delle fassine. Questa legna era utilizzata specialmente per accendere il fuoco perché brucia rapidamente e velocemente. Durante l’inverno si mettevano delle fassine nei fossi o in qualche roda. Quando si toglievano dall’acqua, spesso c’erano dei marsoni.

Pesca nelle rode

Le rode sono i corsi d’acqua più larghi e più profondi. Nelle rode si possono pescare trote, lucci, anguille.

Pesca con l’amo

Era il sistema più semplice. Chi aveva la licenza andava a pescare secondo il calendario prestabilito e pescava solo i pesci di taglia consentita. Spesso però la pesca con l’amo era una pesca di frodo. C’erano dei sistemi ingegnosi per non essere scoperti dai guardia pesca. Si preparavano parecchi ami, con poco filo, avvolto in bastoncini di circa 10 cm di lunghezza. L’attrezzo poteva quindi essere messo in tasca e passare inosservato. Si posizionavano i vari ami in punti ritenuti buoni per la pesca o sotto qualche bote, cioè un ponte costituito, in tempi più recenti da un grande tubo di cemento. Spesso si mettevano giù gli ami alla sera e si andava alla mattina a levarli. Si prendevano trote, qualche anguilla e degli squaletti.

Pesca con le nasse

Nelle rode non molto profonde, si posizionavano delle nasse, come nei fossi.

Pesca con la moscarola di vetro

Nelle rode, in primavera, per prendere le salgarele o pessate, si metteva giù la moscarola. Si chiudeva l’apertura del collo con un po’ d’erba, si metteva uno spago e con un’atola, la si posizionava nel fondo della roda, dove si pensava potessero andare in frega le pessate. Le pessate si mettevano poi nel vivaro fino a quando non erano sufficienti per un pasto.

Pesca con il verderame 
Si metteva del verderame ( solfato di rame) in un sacchetto di tela o nelle calze di nylon, si batteva nell’acqua in modo che si sciogliesse. Il verderame levava l’ossigeno dell’acqua. I pesci scappavano a valle e venivano catturati con la negossa.

Pesca nelle boje
Anche nelle boje si pescava di solito con la moscarola perché c’erano le salgaréle. L’acqua è pulita e limpida. Costituisce quindi un ambinte favorevole per questo tipo di pesci. Il marson invece predilige sì l’acqua pulita, ma con il fondo di sassi o ghiaia.
Nelle boje si potevano trovare delle trote, delle bisate e delle carpe, essendo il fondo delle boje composto di sabbia o di fango. Si pescavano con gli ami o, qualche volta, con il carburo.
Il carburo ( carburo di calcio, acetilene) si metteva dentro qualche piccolo recipiente. Il carburo bagnandosi, sviluppava del gas. Il recipiente scoppiava e faceva stordire i pesci che venivano così a galla.

Pesca nel Bacchiglione
Nel Bacchiglione si pescava con i vari tramaj, con le reti a strascico e con i vari sistemi con l’amo. Si possono trovare oltre alle Trote, le Carpe, i Pesci gatto, il Persico trota, le Anguille, i Cavedani.
Pesca con la nassa de fèro. Si usava fino ad alcuni anni fa nel Bacchiglione per pescare le anguille. Si metteva nel fondo alla sera e alla mattina si levava.

Pesca nel Timonchio
Nel Timonchio, con un regime di acqua incostante, si potevano pescare le carpe, (squaletti), rane spinose e qualche gamberetto.

Pesca nell’Astico
Nel torrente Astico, si potevano trovare i marsoni. Erano principalmente nella Valdastico. Si pescavano inoltre i Cavedani, le cagne, i Barbi. D’estate, quando non c’era un regime d’acqua costante, si formavano dei piccoli stagni non collegati fra loro. Era quindi abbastanza facile pescare dentro una superficie
limitata. Solo nell’Astico si potevano trovare le cagne. Durante il giorno le cagne si nascondono nel fango o nella sabbia del fondo. Con un secchio o con un badile, si toglieva la sabbia e si versava sulla riva, così si prendevano facilmente.

Pesca delle rane con il finfolo
Il finfolo è una specie di fiocina. Si usava per catturare le rane nelle zone umide e nel Timonchio. Il finfolo era una spunciarola con un manico lungo.
Questo consentiva la cattura, da lontano, delle rane.

Strumenti per la pesca

Reti
Tramajo (tramaglio)
E’ formato da tre reti, simile alle reti da insacco usate per catturare gli uccelli. Dei sugheri erano posti alle estremità per sostenerlo. In basso invece c’erano dei piombi perché rimanesse teso. Un tramajo più piccolo era usato anche nelle rogge, nel Bacchiglione e in altri corsi d’acqua.

Bardavèi (bertuello)
Sono delle specie di nasse multiple, fatte di reti anziché di rami di legno di salice. Dentro una rete esterna c’erano all’interno altre due reti. Un arco di legno reggeva l’apertura. I pesci che entravano, non potevano più uscire. Erano usati specialmente nel lago di Fimon e nei canali del basso vicentino.

Balansa, balansin,
Due archi di legno e successivamente di ferro, ai quattro angoli, tenevano tesa una rete. All’incrocio degli archi era fissata una corda legata ad un’atola (pertica) che sollevava e abbassava la balansa. Si immergeva ad intervalli regolari. Quando si sollevava, sul fondo della rete rimanevano i pesci. Si pescavano non solo pesci di media grandezza, ma anche salgarele, piccole trote e
anche qualche anguilla.

Negossa
E’ fatta a borsa, con l’apertura formata da un semicerchio di legno o di ferro. La rete, a sacco, si prolunga dietro all’apertura restringendosi. Nel semicerchio era fissato un manico di legno.

Gaon
La pesca con il gaon era usata nella zona delle risorgive. Il gaon era in pratica una negossa, ma senza manico. Veniva utilizzato nei fossi profondi. Si posava sul fondo, si batteva sull’acqua, sotto le radici degli alberi, contro corrente, a circa due o tre metri dal gaon. I pesci scappavano e andavano a finire dentro. Si catturavano pesci piccoli e quindi si andava a pescare solo
dove l’acqua era profonda e non si poteva entrare dentro a pescare con la negossa.

Cunèla
E’ una rete che serviva per pescare i marsoni.
Si usava come il gaon, ma nei fossi dove c’era il fondo di sassi e ghiaia. E’ formata da due semi archi di legno incrociati alla cui base è fissata la rete. La rete era racchiusa su tre lati da un’altre rete di altezza di circa 30 cm. La cunela veniva posata sul fondo del fosso. Con il rabio, si raschiava il fondo, spingendo i pesci verso la rete. Il rabio più semplice era una tavola con un manico. Si raschiava il fondo del fosso o della roda con una tavola. In pratica il rabio si usava come un grande badile. Ogni tanto si svuotava la cunela sulla riva e tra i sassi e le erbe, si raccoglievano i pesci che c’erano in mezzo.

Le trappole
Nassa
La costruzione delle nasse era un’occupazione assai diffusa. Si intrecciavano di solito in inverno, nelle stalle, perché solo durante l’inverno si potevano utilizzare le strope. Durante le altre stagioni le strope non erano adatte a questi lavori. Quando i pesci entravano, non potevano più uscire. La nassa era
chiusa nella parte inferiore da un cocon, dal quale uscivano i pesci catturati.

Moscarola
Era una trappola usata anche per catturare le mosche. La moscarola, fatta di vetro, veniva posta sul fondo della boja o del fosso, in modo che l’entrata fosse parallela al fondo. Dentro alla moscarola si mettevano dei pezzi di polenta o di pane. Con la moscarola si pescavano le salgarele.

Altri attrezzi per la pesca
Il vivaro
Il vivaro era di solito fatto con i rami di salice. Era una specie di nassa, ma con solo due aperture. Dentro al vivaro si mettevano i pesci, marsoni, salgarele, qualche piccola trota che non venivano consumati subito. Era un modo per conservare vivi i pesci pescati. Infatti il vivaro con i pesci, veniva posto
in qualche fosso o nella cana, in corte.

La suca
Quando si andava a pescare, specialmente i marsoni nei fossi, man mano che si pescavano, venivano messi dentro alla suca. La suca era una zucca, seccata e svuotata. Veniva fatta n’apertura lungo la circonferenza e due fori dentro i quali veniva fatto passare uno spago che serviva per appenderla alla cintura del pescatore.

Vocabolario
Cana pozzo artesiano
Moscarola moscaiola
piron forchetta
Strope vimini, rami di salice
Suca zucca
Vivaro vivaio

Albarela, ALBORELLA ( Alburnus alburnus)
Aola ALBORELLA (Alburnus alburnus)
Ardarolo GHIOZZO DI FIUME ( Padogobius martensi)
Barbio BARBO COMUNE ( Barbus plebejus)
Barbo BARBO COMUNE (Barbus plebejus)
Barbo canino GOBIONE (Gobio gobio)
Bi$ata ANGUILLA ( Anguilla anguilla)
Cagna COBITE COMUNE (Cobitis taenia)
Carpa CARPA (Cyprinus carpio)
Ganbaro GAMBERO (Austropotamobius pallipes)
Lanpreda LAMPREDA DI RUSCELLO (Lampetra zanandreai)
Marson SCAZZONE (Cottus gobio)
Pessata SANGUINEROLA (Phoxinus phoxinus)
Salgarela SANGUINEROLA (Phoxinus phoxinus)
Spinosa SPINARELLO (Gasterosteus aculeatus)
Squaleto CAVEDANO (Leuciscus cephalus cabeda)
Truta TROTA FARIO, TROTA IRIDEA, TROTA MARMORATA (Salmo marmoratus)

 

Francesco Marchesin

 

[1] L’unico saggio scritto sull’argomento della pesca nel vicentino è La pesca, a cura di Terenzio Sartore e del gruppo di ricerca della Civiltà Rurale, di prossima pubblicazione. Senza quel contributo, questo parziale saggio non sarebbe stato possibile.
[2] La storia della famiglia Righi in Dueville, storia e identificazione di una comunità, Neri Pozza editore, Vicenza 1985
[3] Civiltà rurale di una valle veneta: la Val Leogra, a c. di T. Sartore, Accademia Olimpica Vicenza, 1976, pag. 146.
[4] I lavori dei contadini, Neri Pozza Editore, Vicenza 1997, pag. 54.
[5] G.B. TOROSSI, Gli animali utili e nocivi ai pesci della provincia di Vicenza e la pesca nel bacino del Bacchiglione, Vicenza 1887.
[6] A. MARCONATO – S. SALVIATI – G.MAIO – E. MARCONATO, La distribuzione dell’ittiofauna nella provincia di Vicenza, Vicenza 1986.

Francesco Marchesin

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