Il passato ci racconta…

Gli uomini nei secoli scorsi hanno dovuto affrontare epidemie che decimavano quasi la metà della popolazione. Da subito uno dei rimedi più utilizzati era l’isolamento. Isolamento di 40 giorni, la quarantena, delle persone malate che venivano portate nei lazzareti. Le città si chiudevano e i forestieri non potevano entrare.  I monatti erano le persone incaricate alla sepoltura di coloro che erano morti per la malattia. Erano spesso i condannati a morte oppure le persone che erano guarite dalla peste ed erano quindi immuni.

Si pensava che la peste fosse opera di uomini malvagi: gli untori. Si credeva che gli untori diffondessero volontariamente la peste nei luoghi pubblici. Si pensava ungessero gli stipiti delle porte, i catenacci, gli angoli delle strade e perfino i banchi delle chiese. Famosa a Milano era la colonna infame, costruita durante la peste del 1630 a memoria del processo a due untori. Grazie al celebre saggio di Manzoni, passò alla storia come simbolo della superstizione e dell’iniquità del sistema giudiziario spagnolo dell’epoca. Il processo terminò con la condanna a morte dei due che confessarono la propria inesistente colpevolezza pur di porre fine alle atroci sofferenze delle torture.

Monte Berico e le pesti

Circa Seicento anni fa, nel 1426,  Vicenza era devastata dalla peste. Molte persone morivano e non si conoscevano rimedi. Si racconta che la Madonna apparve ad una contadina di Sovizzo a monte Berico. La Madonna avrebbe chiesto la costruzione di una chiesa a Lei dedicata. Le cronache del tempo riferiscono che la peste cessò dopo la costruzione di una modesta cappella da parte della Comunità.

Duecento anni dopo, nel 1630, Vicenza fu colpita da una nuova ondata di epidemie di peste.

Nel giugno del 1630 il Consiglio Comunale di Vicenza fece una supplica alla Vergine di Monte Berico per supplicarla con il più vivo et riverente affetto che sia possibile, che interceda alla misericordia divina che ci preservi dalli imminenti pericoli di peste e di guerra che ci sovrastano. Passata la peste, la chiesa fu ingrandita con l’aggiunta della parte detta palladiana.

Sempre in riferimento alla peste, a Vicenza nella scalinata della basilica Palladiana, c’è la bocca della verità: una feritoia testimone di una storia inquietante, poiché al suo interno si depositavano le denuncie anonime del tempo, contro gli appestati.

Chiesa del Redentore di Venezia e la peste del 1575

Tra il 1575 e il 1577 Venezia fu colpita da quella che forse potrebbe essere definita da una  terribile epidemia di peste.  Morirono circa 50.000 persone, circa un terzo della popolazione cittadina. Il 4 settembre del 1576 il Senato della Serenissima decretò di erigere una chiesa intitolata a Cristo Redentore quale ex voto per liberare la città dalla peste, e la prima pietra fu posta il 3 maggio 1577. Il progetto venne affidato al Palladio.
Il 20 luglio del 1577, per festeggiare la fine della peste, fu costruito per la prima volta un ponte di barche per raggiungere il luogo in cui stava sorgendo la Basilica ed ebbe luogo la prima processione. La tradizione continua ancor oggi nella terza domenica di luglio.

La basilica di santa Maria della Salute a Venezia e la peste del 1630

La peste fu portata da un ambasciatore del duca Gonzaga  di Mantova, che venne internato nel Lazzareto, ma gli bastò entrare in contatto con un artigiano, per infettare tutta  la città.

Il 22 ottobre  1630 il Patriarca Tiepolo, fece:  “voto solenne di erigere in questa Città e dedicar una Chiesa alla Vergine Santissima, intitolandola SANTA MARIA DELLA SALUTE, et ch’ogni anno nel giorno che questa Città sarà pubblicata libera dal presente male, Sua Serenità et li Successori Suoi anderanno solennemente col Senato a visitar la medesima Chiesa a perpetua memoria della Pubblica gratitudine di tanto beneficio» . Quando la peste finì erano morti 80.000 veneziani, e 600.000 nel territorio della Serenissima da Bergamo, Brescia fino al Polesine ed il Cadore.

Il Lazzareto di Venezia

Nel 1423 la Repubblica di Venezia istituisce per prima al mondo, un luogo destinato alla cura e all’isolamento dei malati di peste, nell’isola di S. Maria di Nazareth. Prima di questa data i malati erano gestiti dagli ordini monastici. Il nome forse deriva dall’isola vicina di san Lazzaro, protettore dei lebbrosi e dei malati contagiosi. Durante i periodi di epidemie era proibito l’accesso alla città. Per chi ospitava forestieri era prevista una pena di 6 mesi di reclusione e una multa.

Anche nelle altre città venete c’erano i lazzareti. A Vicenza un lazzareto era situato nella zona della chiesa di san Giorgio, in Gogna.

Un tempo la preghiera era l’unica speranza per salvarsi. Noi non costruiremo Chiese, ma con  il nostro comportamento corretto possiamo proteggergi e proteggere gli altri. E’ il nostro  contributo per chi è impegnato nell’emergenza sanitaria e per chi si occupa della ricerca per trovare  dei rimedi.

Usciremo diversi da come siamo entrati in questa crisi. Può essere l’occasione per comportamenti migliori