C’era una volta in via Roi

Una volta via Roi era una via piena di vita. C’era il capitello. A maggio tutte le sere si recitava il fioretto. C’era sempre tanta gente, anche in mezzo alla strada. Di macchine ne passavano veramente poche. All’8 settembre poi,  c’era una grande festa. Al pomeriggio si celebrava la messa e poi si festeggiava o nel cortile da Aver o da Careghe. Una volta da Aver sono venute anche le giostre.

A giugno, nel cortile di Aver veniva anche la mietitrebbia, una grande e lunga macchina che restava lì anche per una settimana. I contadini  tagliavano a mano il frumento con la séSola, facevano le faje, le legavano con le strope, le caricavano nei carri e andavo a trebbiare da Aver. Ritornavano a casa con le bale di paglia e con i sacchi di frumento.

C’erano due osterie, per un certo periodo addirittura tre: Careghe, Aver e l’Enal di Gemma Minchio. Alla domenica andavamo a vedere la televisione dei ragazzi: Rin Tin Tin o Lessie. Non si pagava il biglietto, ma bisognava consumare almeno un bicchiere di spuma.

Andare a fare la spesa era un compito dei bambini. Scanio Carettiero  e la Botegheta Lionzo erano i due negozi alimentari. Ogni giorno si faceva la spesa perché in casa non c’erano frigoriferi per conservare i cibi. Ogni giorno si segnava la spesa nel libretto. Alla fine del mese si pagava il conto a Luigino Carrettiero .

Un’altra bottega frequentata era il panificio di Gustavo Tagliaferro. C’era il pane comune e il pane con l’olio. Si andava con la sporta di paglia e anche dal fornaro si andava con il libretto. A servire c’era quasi sempre Roma. Era velocissima quando faceva i conti. Non c’erano le calcolatrici e bisognava essere veloci senza sbagliare.

Un altro negozio, l’unico ancora in attività, è il negozio della Scudelara. C’era e c’è quasi di tutto: piati, biceri, damigiane, gabie, moscarole, ecc. tutto quello che serve in casa.

Davanti a Scanio c’era il negozio di Galvaneto. Vendevano sagra, caramelle, sigurisia, bagigi, straca-ganasce ecc. Quasi tutti avevano l’orto e non si comperava la verdura, ma Quaja aprì un negozio di frutta e verdura. C’erano anche due macellerie: Rosimbo e Franco Tosin.

Anche da Gisto c’era un negozio: vendevano bottoni, spagnolette e qualche maglia. C’era poi l’Ombrelaro che vendeva pezze di stoffa. Vicino al capitello c’era il deposito di Angelo Strassaro. Raccoglieva strasse, ossi e fero vecio. Quando si uccidevano i maiali, raccoglieva il pelo, le unghie. Comperava  anche la pelle dei conigli.

Lelio Lorenzin era invece il lataro. Passava alla mattina e alla sera. Suonava un corno per avvisare del suo arrivo: prima raccoglieva il latte che i contadini portavano per venderlo alla latteria e poi lo rivendeva a coloro che non avevano le mucche.

Il polastraro passava una volta alla settimana con il suo Motom. Aveva due ceste davanti e due dietro. Veniva da Vicenza, comperava uova, polli e conigli che poi rivendeva ai negozi della città.  Anche il gelataio passava una volta alla settimana  con il suo carrettino con il ghiaccio. Passava anche un’auto con l’altoparlante che vendeva l’amaro Balestra, il più forte degli amari.

Oltre alle botteghe c’erano attività artigianali: Italo Cartaro costruiva macchine per le cave di ghiaia; Biasio invece faceva componenti per le macchine tessili. La storica cartiera Valente infine, dava lavoro a parecchi operai. Dopo la fabbrica Lanerossi, era l’attività che occupava più manodopera.