La piazza, luogo del passato, del presente e del futuro
Da centinaia di anni, la piazza di Dueville è sempre stata come è attualmente. La chiesa, la villa Monza con le barchesse e la fila di case verso est, delimitavano i suoi contorni. Forse l’unico edificio che non si può più ritrovare è la vecchia Casa della Comunità.
La chiesa, con il cimitero adiacente, era il luogo della religione. Il palazzo dei Monza fino alla fine dell’Ottocento rappresentava il potere feudale, poi il nuovo potere politico, rappresentato dalle Amministrazioni Comunali.
La piazza ha segnato i fatti più importanti della vita degli abitanti della comunità di Dueville nei secoli. In chiesa, il battesimo, il matrimonio e il funerale, rappresentavano i momenti più rilevanti della vita di una persona e venivano condivisi con gli altri membri della comunità. Da fatti personali, diventavano pubblici e partecipati dalle altre persone.
Pubblici erano anche gli atti che avvenivano prima nella casa della Comunità e poi nel Municipio, che rappresentava e rappresenta il potere amministrativo e politico.
E la vita quotidiana scorreva intorno alla piazza. Il mercato, le botteghe, le osterie erano luoghi di incontro e di scambi. Tutti i membri della comunità passavano per la piazza. Magari solo alla domenica, ma era l’unico modo per dimostrare e farsi riconoscere come membri della comunità.
La piazza
Un tempo nella piazza di Dueville c’erano i grossi e maestosi platani e maronari. In piazza c’erano i i negozi del Becaro, el fornaro, el casolin, la farmacia, l’osteria, el scarparo, el sarto, ecc. Sono quasi gli stesi negozi che ci sono adesso.
La chiesa era l’edificio più importante e più imponente. La costruzione della chiesa ha recuperato uno dei valori più importanti della antica comunità di Dueville. La chiesa di Dueville fu costruita infatti recuperando lo spirito della comunità. “Schiere di contadini vennero a turno dalle varie contrade, prestando generosamente la loro opera gratuita …” scriveva il parroco Don Benigno Fracasso.
Per secoli, infatti, la comunità rurale di Dueville era organizzata con le convicinie, le assemblee dei capifamiglia. La convicinia era un sistema di governo delle Comunità, in uso in tutto lo stato della Repubblica Veneta, per centinaia di anni. Era la democrazia diretta di tutte le famiglie del paese.
Partecipare era un dovere e bisognava mettersi a disposizione della comunità per prestazione volontarie come per sistemare le strade, sia per assolvere gli incarichi pubblici come il decano, figura corrispondente all’attuale sindaco o il marigo. Il marigo era il garante della custodia dei beni comuni e doveva far rispettare le regole molto dettagliate degli statuti rurali. Gli statuti erano la raccolta dei minutissimi provvedimenti per aprire strade, per costruire i ponti, per preservare gli alberi e le colture, per i pascoli e per prevenire e definire le liti.
I segni del passato da ricordare nella nuova piazza
La Comunità di Dueville nel tempo
I Longobardi, la perfida stirpe
“Dalla perfida e puzzolentissima stirpe dei Longobardi, che non viene neppure enumerata tra i popoli, e dalla quale è certo che abbia avuto origine la razza dei lebbrosi, bisogna liberare l’Italia…” scriveva il Papa Stefano III nel 770 al re dei Franchi, per convincerlo ad invadere l’Italia e porre fine al regno dei Longobardi.
I legami con la perfida stirpe
Ha senso per noi, oggi, ricollegarci ai Longobardi? In che misura essi sono entrati a far parte della nostra eredità del passato?
I Longobardi non hanno posto nella nostra storia nazionale. Altri sono stati i protagonisti e i periodi che hanno inciso nelle vicende. I Longobardi non sono stati né Romani né cristiani. Anzi essi hanno combattuto contro queste due realtà. Anche se poi si convertirono e anche se si sono trasformati in continuatori ed eredi del mondo romano – cristiano, essi sono stati considerati un corpo estraneo. Ma dopo duecento anni di vita comune, dal 569 al 774, gli invasori Longobardi e gli indigeni romani erano diventati un unico popolo e si distinguevano con molta difficoltà.
il nome: Perché in nostro paese si chiama Dueville?
Interessante notare, con riferimento in particolare a Dueville, che i Longobardi si sono spesso sorprendentemente insediati vicini ai centri della popolazione autoctona, talvolta distanti solo poche centinaia di metri.
Probabilmente questo duplice insediamento, veneto – romano e successivamente longobardo, questi due centri alquanto vicini, ma distinti, possono spiegare il toponimo Due-Ville. Due centri identificabili con questi due vicini nuclei, hanno dunque caratterizzato il nostro paese determinandone il nome.
La Comunità, i nobili Monza e Venezia
Leone di San Marco
Nella notte del 20 ottobre 1714 il vecchio campanile di Dueville crollava rovinosamente a terra. Costruito alla fine del Quattrocento, dai nobili Monza, rappresentava il loro potere feudale. I Monza volevano ricostruirlo e porre il loro stemma, come era in quello crollato. Ma i capifamiglia si opposero. La lapide ci ricorda come è finito il contrasto: la comunità di Dueville costruì il campanile a proprie spese e al posto dello stemma dei Monza, aveva posto quello della Serenissima. Lo Stato di Venezia fu lo Stato economicamente più potente di tutta Europa, per più secoli. L’esito della vicenda è scolpito nello stemma: “Campanile sumptibus publicis ac charitate habitantium communitas duarum villarum edificandum curavit”.
Cento anni prima, Francesco Rizzolo era il rappresentante della convicinia, della comunità di Dueville nei contrasti con la famiglia Monza. Nel 1627 fu ucciso dai sicari dei Monza. Egli era il “il più esperto di ogni altro del suo Comun” a far valere le ragioni della Comunità. Venezia poneva fine alla controversia, assegnando alla Comunità quei diritti che sino ad allora erano stati goduti dai feudatari. Per ricordarlo, per più di duecento anni, la Comunità faceva celebrare ogni anno, delle messe.
MONZA
La piazza prende il nome dalla nobile famiglia dei Monza; proveniente da Milano, ottenne la cittadinanza Veneta nel 1396. Nel 407 Alberto Monza acquistò da Cortesia da Sarego vastissimi possedimenti “nella villa dei Doi Ville” con il privilegio di riscuotere la quarta parte della decima, di nominare i decani (sindaci), con i diritti di caccia e pesca e con la possibilità di nominare i guardia boschi. La loro residenza era a Vicenza. A Dueville avevano, le case “dominicali”, cioè case del padrone usate dai loro fattori o erano palazzi di villeggiatura. Fra queste: il villino Maccà, la barchessa dietro la chiesa, la casa Ramina, il Municipio e altre ancora.
Lanerossi
Lanerossi: nel 1904 la Società del lanificio Rossi di Schio chiese al comune di Dueville di acquistare un terreno di proprietà comunale per stabilirvi un’industria tessile. La società Rossi scelse Dueville anche per gli interventi dei fratelli Busnelli: Gaspare sindaco di Dueville e Gaetano che abitava a Schio era amico di Alessandro Rossi ed era dirigente nella fabbrica. La fabbrica Lanerossi di Dueville contribuì in maniera determinante allo sviluppo economico del paese. Lavoravano anche 1.300 persone. Fino agli anni Settanta era caratteristica la figura dell’operaio – contadino, essendo la piccola proprietà agricola molto diffuso. Si lavorava in fabbrica e nel tempo libero dal lavoro, si lavoravano i piccoli appezzamenti di proprietà.
Considerazioni sull’area Lanerossi.
Ritengo che sia importante ricordare, in riferimento all’area Lanerossi, la figura e la filosofia di Alessandro Rossi. Figura illuminata di industriale che affermava:
“Quale è la differenza tra me e gli operai? L’educazione migliore e i panni meno grossolani che indossiamo e null’altro. Per il resto anime immortali, come noi. Lavoriamo d’intelligenza e di braccio, siamo tutti operai, soldati del lavoro, che facciamo insieme questo tragitto nel mondo, per preparare un mondo migliore.”
…Il buon operaio fu per lui qualche cosa di lui stesso. Educarlo bravo, felice, furono ognora il suo studio e sua incessante occupazione. Di qui: gli asili d’infanzia, le scuole, le sale operaie, le biblioteche, le casse di risparmio, il teatro e soprattutto facendo brillare gli occhi dell’onesto operai: con la costruzione di una casetta e di un orticello che gli appartenessero egli lo abituò al risparmio…”
L’area Lanerossi non è solo la fabbrica. Intorno c’erano le case per gli operai e per gli impiegati, gli asili, i negozi e tutto quello che potesse essere utile per coloro che vi lavoravano.
Un progetto di archeologia industriale dovrebbe mettere in risalto anche questo aspetto. Il resto sono muri scrostati, edifici anonimi, simili a tanti altri che non raccontano. Si dovrebbe recuperare quello spirito che ha animato quel periodo e caratterizzato il nostro paese ed il vicentino e non recuperare solo mattoni, pietre e volumi da edificare.
Dueville, paese delle risorgive; i molini; la cartiera.
L’ACQUEDOTTO DI PADOVA
Padova cominciò a pensare ad un proprio acquedotto circa 150 anni fa. Era allora una città di circa 75.000 abitanti. Si vagliarono diverse località come Fontaniva, Oliero, Camisano e Dueville che godevano di acque di sorgente potabili. Dopo un ventennio di dibattiti la scelta cadde su Dueville. L’acqua era più potabile e più abbondante.
L’acquedotto fu inaugurato nel 1888. Le opere furono costituite da una vasca di raccolta, da pozzi e da una lunga condotta da Dueville a Padova. Questa condotta, chiamata canaletta, è alta 1,10 m, ha una sezione di 70 cm ed è lunga 40 km. La canaletta non trasporta l’acqua in pressione, ma a pelo libero. Nel 1945 fu costruita una seconda condotta che trasportava l’acqua di una ventina di pozzi posti a nord di Vicenza. Mentre la prima condotta seguiva la Statale VI-PD, per la seconda fu seguita la linea ferroviaria. Le due condotte possono portare complessivamente 1.400 litri al secondo, limite imposto dal Piano Nazionale degli Acquedotti. L’acquedotto di Padova serve una popolazione di circa 300.000 abitanti. L’acqua del sottosuolo di Dueville è di ottima qualità e non ha niente da invidiare a tante acque minerali.
la Roggia Molina
“App. la strada de li mulini” (a. 1541). Nel 1628 esisteva un molino dei Monza dato in affitto a “Menego Gentil deto Scudela” nello stesso posto dell’ex molino Bagarella Santo, ora Marioni. L’acqua della roggia Molina poteva essere utilizzata solo dai Monza che avevano l’investitura. La roggia Molina fino al 1800 confluiva direttamente nel Bacchiglione, a Vivaro. La roggia Molina riceve le acque dalle risorgive di Dueville, in località Carlesse. Nel breve tratto di tre km, muoveva le ruote del molino Bagarella, del molino Farina, della cartiera e di un altro molino trasformato poi in opificio da canapa, da G. Roi, nell’Ottocento.
La mia cartiera
La mia cartiera ha i mattoni rossi e i sassi bianchi dell’Astico. Ha gli enormi balconi scuri degli stenditoi. Il muro rosa scrostato. Ha la campanella che suona. Il capitello di san Gaetano con un mazzo di margherite. Ha la profonda buca bianca della calce. Ha i mucchi di carta, di libri o giornali fra cui curiosare. Le molasse che macinano nella penombra. Le cinghie delle trasmissioni che dondolano e girano. Ha la barca sulla roggia Molina. La confusione delle cose accatastate. Il labio e la cana in corte. Il cappello di paglia degli operai che lavorano. Ha la carta gialla con cui si incartano le verdure o la carta dal macellaio. La cartiera ha il viso di Severino, di Giuseppe, di Angelo, di Iseo. Ha il viso dei vecchi della cartiera, di Mansueto, di Pacifico, di Isetta e del nonno Giuseppe.
Tutti questi ricordi si sono depositati dentro. Segnano il luogo. Si. la cartiera è come la casa, la strada, la chiesa, la piazza del paese: si riconoscono come luoghi della propria memoria e della propria storia. Per le persone di Dueville la cartiera non rappresenta solo un pezzo di archeologia industriale. Evoca persone e cose passate. Dentro la cartiera si respira il sudore, il sacrificio e lo spirito di tutte le persone che vi hanno lavorato.
Mostriamo ai nostri figli, ai bambini, ai ragazzi come si lavorava una volta, che strumenti si usavano, come si superavano certi problemi tecnici con intelligenza.
Vale la pena di tentare di salvare la cartiera. Vale la pena di far girare ancora la ruota.
La cartiera è lì che aspetta. Aspetta da un giorno all’altro di mettersi in moto. Aspetta che l’acqua scenda limpida dalle pale della ruota.
Speriamo non si stanchi di aspettare!
La carta dalla paglia e dalle strasse
La produzione della carta da strasse richiedeva molta energia per la raffinazione. Nella produzione della carta paja l’energia meccanica veniva in parte surrogata dall’energia chimica della calce. Gli stracci e la gelatina animale diventavano sempre più costosi e difficili da reperire. La paglia del frumento costituiva quindi una alternativa che garantiva una continuità e costi più modesti.
Dalla paglia alla carta
La paglia proveniva da Ferrara, Rovigo e zone limitrofe. Veniva trasportata in cartiera con i carri tirati da asini e muli. All’esterno della cartiera c’erano le sc-ione dove si attaccavano gli animali. Si scaricava di notte. Alla mattina si metteva la paja nel deposito.
Il ciclo produttivo cominciava con la trinciatura, mediante una macchina chiamata trinciapaglia. Con un coltello rotante si riducevano gli steli della paja in segmenti di due – tre centimetri.
Dalle strasse alla carta
La carta con gli stracci. Si faceva la carta con parecchie sostanze vegetali fibrose. Per le buone carte, la materia dominante era sempre lo straccio. Si sceglievano gli stracci di cotone, lino, canapa. La raccolta degli stracci veniva organizzata da alcune ditte specializzate oppure venivano raccolti direttamente nelle cartiere.
Senza radici
Venerdì 13 febbraio 2015, in occasione della Borsa Internazionale del Turismo di Milano, sono state presentate Le Vie Longobarde d’Europa, per proporre pacchetti turistici integrati comprensivi di accoglienza, percorsi culturali, nella natura ed enogastronomici. E subito il mio pensiero è andato alla necropoli longobarda di Dueville.
Passata l’iniziale curiosità e le promesse di fare qualcosa, Dueville non si è mai interessato all’importante ritrovamento della necropoli longobarda. Gran parte dei reperti, esclusi quelli restaurati ed esposti nella mostra Restituzioni 95 a Vicenza, giacciono in qualche scantinato. A Dueville non è rimasto niente e poco si sa di quello che è stato recuperato.
Chi passa ora per la necropoli di Dueville, non può non provare un senso di sconcerto e di desolazione. Tutta l’area è circondata da fabbricati di quattro o cinque piani. Parte dell’area di scavo è stata riempita con materiale e vi scorre una strada. A destra e a sinistra sono ancora visibili le buche delle sepolture, fra le erbe incolte. Non esiste niente, né un cartello, né un’indicazione di sorta. Fra poco tutto sarà spianato e non ci sarà nessuna testimonianza di quella che fu una delle più considerevoli necropoli longobarde. Fra alcuni anni si troveranno riferimenti forse nei libri di storia, ma a Dueville non si troverà più niente.
Basterebbe poco! Un parco-giardino nell’area sacra della necropoli, pannelli che ricostruiscano la storia, dei restauri d’alcune tombe indicative; parte degli oggetti restaurati esposti in qualche vetrina in Municipio o in qualche spazio nelle scuole. Questo per non dimenticare, per non perdere le radici di Dueville, per mantenere la propria identità.
Sembra che a gran parte della popolazione di Dueville non interessi la propria storia. Non intendo la storia fatta di date, di località, di battaglie o di re, ma la storia degli individui che hanno vissuto nei luoghi a noi ora familiari, che hanno percorso le strade che noi percorriamo, che hanno abitato nei luoghi dove adesso sorgono le nostre abitazioni. Conoscere la storia per conoscere gli uomini, per cercare di capire come si comportavano, come reagivano, cosa li spingeva a compiere determinate azioni. Noi siamo quello che eravamo.
Come per la necropoli, anche altre testimonianze del paese forse scompariranno nella nebbia dell’indifferenza. La cartiera, la fabbrica Lanerossi e altri significativi edifici, che caratterizzano ed identificano il paese di Dueville.
Proposte
Non conosco il progetto della nuova piazza. Non so se ci siano elementi che cercano di recuperare i segni e le testimonianze della nostra storia.
Mi permetto di avanzare dei suggerimenti. Tentare di trovare negli spiazzi della piazza, il richiamo di alcuni elementi del passato di Dueville. Pannelli, bacheche, qualche ricostruzione per ricordare i Longobardi, la cartiera, i segni della Comunità di Dueville nel passato.
26 febbraio 2023
Francesco Marchesin
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